Varanasi, la città più sacra dell’India
E dopo 14 ore di treno da Kolkata eccomi giunta a Varanasi: la città più sacra tra le Sapta Puri, la città di Shiva, luogo in cui il Gange acquista un’immensa importanza e meta di pellegrinaggio in cui ogni induista deve recarsi almeno una volta nella sua vita. Ma prima di entrare nel suo cuore e nella sua anima, facciamo una piccola introduzione su questa destinazione così famosa…
I diversi nomi di Varanasi
Varanasi è una delle città più antiche del mondo ed è conosciuta con vari nomi. Quello più antico è Kashi, che deriva da Kasha, nome di un vecchio re o di un’erba antica che cresce sulle rive del fiume. Ma c’è anche un’altra versione, molto più comune, che narra che il suo nome provenga dalla parola Kash che in sanscrito significa splendere: la città della luce che illumina la liberazione dal Samsara, il ciclo delle reincarnazioni, come le altre Sapta Puri ma in maniera diretta. Eh si perché pare che solo a Kashi un induista possa raggiungere la moksha, ovvero la liberazione, direttamente, mentre morire nelle altre città sacre dona la possibilità di rinascere ancora un’ultima volta, proprio a Varanasi. Ma di questo ve ne parlo meglio dopo.
Avimukta invece significa “non lasciar andare” che in questo contesto, essendo Varanasi la città di Shiva (anche qui, di cui vi parlerò tra un po’), assume il significato di “mai abbandonata”, legato alla divinità che è sempre stata presente per lei anche durante i periodi più difficili. E sempre legato al dio è anche il suo terzo nome, Rudravasa, in quanto Rudra è il nome più antico di Shiva. Poi c’è Anandavana che significa “foresta della beatitudine”, e Benares, o Banaras, che è il nome della città utilizzato durante la colonizzazione inglese e musulmana. Ma dopo l’indipendenza indiana nacque il nome Varanasi, che sta a significare tra il fiume Varana a nord e l’Asi a sud, ed entrambi sfociano nel Gange.
Varanasi, la città di Shiva e del Gange
Per gli indù Varanasi è una città ultraterrena e al di sopra di ogni cosa, è un luogo di passaggio tra questo mondo e la liberazione dal Samsara. E’ la città di Shiva, del Gange, dei pellegrinaggi religiosi e luogo migliore dove raggiungere la morte ed essere cremati.
Shiva: ma chi è Shiva? E perché in India è così adorato?
Quando Shiva sposò Parvati, la figlia dell’Himalaya, dovette cercare un posto dove trasferirsi, e così scelse Varanasi. E, anche se la città nacque ben prima che Shiva la indicò come sua dimora, si dice che invece fu proprio lui a crearla.
Shiva il distruttore, ovvero il dio che fa parte della Trimurti e che si occupa di distruggere il mondo quando esso è irrimediabilmente guasto, è una delle divinità più venerate dagli induisti. E ora vi starete chiedendo: “Shiva distrugge, perché è così amato?” Perché non è solo quello, anzi, è un dio con diverse facce, una figura ambigua della mitologia indiana.
Un dio che possiede armi e che dona la benedizione attraverso il suo tridente, con cui è sempre raffigurato. Contraddice le convenzioni induiste, non ha nulla a che fare con la purezza ed è solitamente rappresentato nudo o coperto da una pelle insanguinata di tigre o elefante. E quando si trasferì a Varanasi creò la sua casa nel luogo in cui tutt’oggi avvengono le cremazioni. Ma è anche colui che preserva l’ordine del cosmo, è il signore della musica e della danza, è creatività, è amore nei confronti della sua compagna. Ma soprattutto è colui che ti aiuta a raggiungere la moksha, ovvero la liberazione dal ciclo delle reincarnazioni.
Il Gange e i Ghat
Varanasi è la città del ghat, ovvero delle scalinate che portano al Gange. E ne ha ben 88 e tra questi ve ne cito solo alcuni: l’Assi Ghat, il mio preferito, il Dasaswamedh Ghat e il Manikarnika ghat. Ma il Gange, per gli induisti, che significato ha?
Per loro il Gange è una dea, ed infatti il suo nome originale è al femminile, ovvero Ganga. Inoltre si dice anche che quando il Gange arrivò dal Paradiso si divise in diversi ruscelli: 4, dando acqua ad ogni quarto della terra. Ogni giorno gli indù si purificano nelle sue acque e fanno a lei delle offerte, come a qualsiasi altra divinità. Chi muore a Varanasi viene cremato sulle sue rive. E chi non può morire a Varanasi, fa portare poi le sue ceneri sul Gange. Ma chi non ha la possibilità fisica di arrivare fin lì le fa mandare addirittura via posta. E invece chi muore a Varanasi e non ha soldi per farsi cremare, il suo corpo finisce nell’inceneritore. Strano, eh?
E tornando ai ghat è proprio il Manikarnika quello più famoso per le cremazioni. Cremazioni che avvengono in mezzo alla gente e spesso anche in mezzo alla musica e chiunque può assistere. Perché induisti hanno una visione della morte, e della vita terrena, completamente diversa dalla nostra.
La vita e la morte nell’induismo
La morte nell’induismo non è la fine di tutto, c’è un seguito. E anche più di uno. “World is a stage, life is a drama, man is the actor, god is the director”: Dio, o il divino, è il direttore di un teatro di cui noi, esseri umani, siamo gli attori. Finché non moriamo e andiamo lassù, a reincontrarci con chi ci dirige e con tutte le anime che abbiamo amato in questa vita e che ritroviamo lì. Per poi, dopo un po’ di tempo, reincarnarci in un’altra vita per portar avanti, o per correggere, ciò che si è compiuto in quella precedente. Finché un giorno si diventerà liberi dal ciclo delle reincarnazioni e si potrà “vivere” lassù, tra luce, pace e serenità.
Cosa vedere a Varanasi
Sicuramente i Ghat e le cerimonie al Gange, all’alba e al tramonto, ad Assi Ghat e al Dasaswamedh ghat. E poi c’è il tempio più famoso dedicato a Shiva, il Kashi Vishwanath. E poi c’è la parte della città vecchia, affascinante e piena di murales. Ma sapete perché di disegni ce ne sono un sacco? Per evitare che le persone sputino o facciano pipì sui muri…
Ma, per chi non è ancora contento, ci sono altri luoghi che si possono vedere nei dintorni di Varanasi. Il primo è Sarnath, il luogo in cui il Buddha tenne il suo primo discorso, e poi ci sono i villaggi nei dintorni della città. Io ho visitato quello di Nagepur, le sue scuole, le sue case ma soprattutto i suoi abitanti: ed è stato uno di quei luoghi in cui mi sono detta “Loro con poco sono felici, mentre noi ci lamentiamo per qualsiasi cosa. Perché anche se noi, rispetto a loro, abbiamo tutto, ne vogliamo sempre di più e non siamo mai felici..”
Concludendo con la mia esperienza e le mie considerazioni…
Varanasi: la città più sacra dell’India, in cui si respira un’energia splendida e dove la vita e la morte hanno un significato completamente diverso da come le conosciamo noi. Sognavo di poterla vivere da anni, e sono grata di averlo potuto fare. Anche se Varanasi è stato il luogo che mi ha fatto uscir dal “mito dell’India”. Già, quella magia che sogni e che riesci a vivere quando hai poco tempo e passi da una città all’altra velocemente. Ma quella magia lì la perdi se nei luoghi ti fermi. Ma non solo ti fermi, inizi a girarli e a passare negli stessi posti più volte. E a incontrare le stesse persone. E a guardar dietro l’angolo o, come si suol dire, sotto al tappeto…
I procacciatori di clienti a Kolkata non erano nulla in confronto a Varanasi, e questo lo immaginavo. La città più sacra dell’India è anche la più turistica. Ed è talmente colma di gente da ogni dove che spesso mi sembrava di esser all’interno di uno show, un teatro, un servizio fotografico. Passeggiare sui ghat in tranquillità è quasi impossibile dopo una certa ora del giorno. Perché vieni fermata in continuazione da chi si vende come guida turistica, e non lo è, chi ti vuol vendere il giro in barca e chi cerca di convincerti ad acquistare qualsiasi cosa: massaggi, puja personalizzate, medicine ayurvediche, lettura della mano… Perché a Varanasi, soprattutto ciò che è spirituale, è merce da vendere. E quindi non sai a chi e cosa credere. Anche i Sadhu, sulle rive del Gange immersi nelle loro cerimonie, non sono tutti reali: molti si travestono e lo fanno per soldi.
E tu, donna occidentale in viaggio da sola, sei la prima esca per chiunque. Ma dopo aver compreso quale fosse il vero business di Varanasi, ho iniziato a evitare chiunque e a non parlare con nessuno. E a vivere, in disparte, ciò che di questa città sognavo da anni. E se potessi tornare indietro, sicuramente a Varanasi ci starei giusto qualche giorno come fa la maggior parte delle persone, in modo da non trovarmi ad uscire, proprio lì, dal mito dell’India e dalla sua magia.